Quando
il signor Abramo Eberle, di Monte Magré (Vicenza), decise di
portar la sua famiglia in un posto più tranquillo rispetto ad
un’Italia povera ed appena unificata, é probabile che avesse in
mente un progetto più che sensato.
Per vendere tutto ciò che si
possiede ed espatriare in Brasile, ci vuole coraggio, soprattutto
quando sai che si tratta di una via senza possibilità di ritorno.
Ma con qualche denaro da investire questa scelta
di vita é un tentativo possibile e comunque diversa dalla
disperazione di tante altre famiglie poverissime.
Ma la sua fu una
scelta intelligente, dettata da un’ampia visione del futuro. Così,
mentre la maggioranza si dedicava alla produzione di uve e vino in
un mondo privo di ogni struttura di base, andò quasi contro
corrente nella terra dei Gauchos e nel 1896 fondò la prima
metallurgica del sud America. Inizialmente furono piccoli oggetti,
attrezzi in rame, stagno, legno e cuoio... portalumi, staffe e
briglie per cavalli, pentole e quant’altro poteva servire per la
vita della comunità che si andava evolvendo. Poi, con lo sviluppo
del commercio di vino con località sempre più lontane, l’azienda
crebbe in modo esponenziale, producendo le parti metalliche per i
carri ed agendo quasi senza concorrenza ampliò la gamma di
prodotti lavorando altri metalli ed arrivando persino all’argento
ed all’oro... ma ancora tutto in modo artigianale.
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Dopo Abramo, il figlio Julio (allora
ventenne) prese il controllo dell’azienda... ma ormai i tempi
erano cambiati, era necessario produrre in modo piu’ industriale,
e per far questo servivano macchine costose da far arrivare
dall’Europa... ed il denaro non bastava.
Cosi’, mostrando la stessa intelligenza del padre, il ragazzo usò
una parte del denaro per acquistare prodotti tipici italiani
(salame, formaggio, grappa e vino), caricò il tutto su dei carri,
poi su una nave ed infine su una delle poche ferrovie esistenti,
fino a raggiungere la ricca São Paulo. Qui vendette tutto, meno il
vino (che costituiva la parte maggiore dei prodotti), perché
nessuno era disposto a credere alla bontà di un vino prodotto in
Brasile. Infine però un negoziante, impietosito da quel giovane
ragazzo così determinato ne acquistò un barile da venti litri,
dimenticandosi quasi della spesa. Il ragazzo tentò altrove per
qualche tempo, ma senza successo. Così tornò dal negoziante, ma
questi gli versò un bicchiere di vino importato, esaltandone le
qualità rispetto agli improbabili vini brasiliani. Peccato che il
vino da lui versato provenisse proprio dalla botte che aveva
acquistato dal ragazzo e notato questo finì per acquistare tutto
il prodotto. |
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Con le macchine industriali
l’azienda crebbe ancora. Ormai la vicina città di Caxias do Sul si
era sviluppata con palazzi di mattoni e cemento e questo porto’
alla costruzione di un grande palazzo come sede della Eberle, che
raggiunse i tremila dipendenti con una produzione di oltre
ventimila articoli diversi. Una cosa davvero curiosa, visibile
ancora oggi (vedi foto) e’ la prima casetta in legno dove
abitarono i “Veci”, che é stata innalzata e posta sul tetto del
palazzo, come segno di uno sviluppo clamoroso, posto in atto da
intelligenza e buona volontà in poco più di un secolo.
E così si arriva a Claudio Eberle, figlio di Julio e nipote di
Abramo. Egli ha fatto una scelta diversa... la bellissima natura
della terra dei Gauchos e degli Italiani. L’Azienda, ormai
divenuta una grandissima impresa, e’ rimasta solo in parte dei
fondatori, mentre il signor Claudio ha costruito un grande fazenda
presso la cittadina di San Marco (ovviamente abitata dai
discendenti italiani). Il posto e’ di una bellezza rara, con
colline che permettono la visione di un orizzonte lontanissimo,
alberi di specie molto diverse e spesso rare, come la Criuva (che
esiste solo qui), ed altre ancora più particolari, sparse su
questi morros (colline). Valli profonde con alberi dalla mata
atlantica ancora vergine, torrenti, dirupi e cascate che si
alternano alle rustiche ma bellissime abitazioni dei Gauchos e dei
Fazendeiros, ed a vaste distese erbose dove pascolano in libertà
cavalli, mucche, bufali, pecore e Javali’ (cinghiali). |
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Poi il “rito” del chimarraõ (un tè
amaro ma gradevole e dalle proprietà rinfrescanti) ed il pasto.
Giuro che il churrasco di pecora che il signor Claudio (nostro
ospite) ci ha preparato, é la carne migliore che abbia mai
assaggiato (peccato che io mangio poco). Poi abbiamo visitato la
fazenda e ci é stato offerto il privilegio di assistere alla
Cancha de Laço... dove i Gauchos catturano i vitelli, inseguendoli
a cavallo con i lazos... il bello che non usano selle, ma solo una
fascia che trattiene sia le staffe che una morbida e lanosa pelle
di pecora. Ma ancora meglio e’ stato lo spettacolo della “doma”
con questi atletici ragazzi che devono ammansire un cavallo
(questi cavalli di razza Criola, sono bellissimi)... per domare un
cavallo davvero selvaggio l’atleta (come chiamarlo altrimenti ?)
e’ caduto numerose volte prima che l’animale si calmasse... il
tutto cavalcando “a pelo”.
Un vero e proprio “Far West” italo/gaucho, una serie di emozioni
continue, difficili da assorbire in un solo giorno, ma il turista
che arriva qui riceverà ospitalità per più tempo e non potrà mai
dimenticare un posto così. Ringraziamo il signor Claudio, la
moglie Carmen e la bella figlia Marta per la favolosa giornata che
hanno voluto e saputo offrirci. Vorrei davvero poter abitare o
anche solo ritornare in questi posti incredibili.
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