Jorge Amado
 

"Prezado Nino Ucchino, de volta a Paris escrevo-lhe a propósito de seu projeto sobre l'Asino. Existe um livro de minha autoria, cuja tradução italiana se intitula "Messe de Sangue", publicado pela Garzanti, no qual um dos personagens maiores é um jumento " asino ". Nesse livro o senhor poderà encontrar mais de uma frase minha sobre nosso animal preferido. Desde jà eu o autorizo a utilizà-las. Parabens pela bela escultura ".


Non morirono tutti di sete solo perchè João Pedro, battendo le vicinanze, trovò un resto d'acqua in un pozzo che si era prosciugato. Bevvero quanto poterono, ma ciò che rimase non fu sufficiente neppure per riempire il barile. Ora che non dovevano più fermarsi per i pasti, mangiavano quando riuscivano a trovare qualche frutto selvatico o qualche animale, ma si fermavano più volte nel cammino. Facevano due o tre chilometri, poi erano costretti a sostare per riposare, le forze venivano meno. Solo Jeremias si mostrava ancora in grado di proseguire. Jerônimo era solito dire che " all'infuori di Dio, era al giumento che dovevano di essere ancora vivi ". Non era più solo Tonho che faceva parte della strada sulla schiena del giumento. Anche Jucundina, quando le gambe si rifiutavano di muoversi, restava accovacciata fra le ceste, e il giumento la portava. Jerônimo finì per affezionarglisi come a uno dei parenti che facevano il viaggio con lui. Nelle lunghe ore di cammino, sotto il sole ardente, le spalle stanche come se portasse un peso di quintali, gli pareva di parlare con Jeremias, dirgli delle parole d'incoraggiamento. Prendeva in mano il muso del giumento, gli dava dei buffetti, gli prometteva un bel pascolo rigoglioso per quando fossero arrivati. Anche se sapeva che, non appena fossero in vista di Juazeiro, la sola cosa che restava da fare era vendere il giumento che da quel momento in poi sarebbe stato inutile. Benchè magro, ci si sarebbe ancora potuto ricavare qualche soldo per il resto del viaggio. Se Jerônimo avesse potuto, l'avrebbe portato con sè a São Paulo, lo avrebbe lasciato libero su un pascolo per il resto della sua vita. Già aveva lavorato anche troppo, ben meritava riposare per gli anni che gli restavano da vivere, con erba fresca, belle cavalle da montare, e nulla da fare. Ma non riuscì neppure a venderlo a Juazeiro, perchè, quando la sete tornò a farsi sentire, il poco d'acqua che restava conservata solo per Ernesto, usata goccia a goccia, quando tutti loro sentivano che non ce l'avrebbero fatta più, e provavano invidia per Jeremias che masticava la corteccia degli arbusti che conservavano l'acqua, la bestia mangiò un'erba velenosa, nell'affanno di non trovar nient'altro per placare la sete e la fame. Il suo istinto lo metteva in guardia, ma non servì, finchè aveva trovato da mettere sotto i denti cortecce d'albero, spini di mandacarù e xiquexique, Jeremias si era guardato dal mangiare del tingui, la bella erba verde appetitosa. Ma - come succede invariabilmente agli animali della sua razza, nella caatinga - viene un momento in cui la fame e la sete hanno ragione di tutto. Nitrì lungamente, gli occhi ben aperti come a congedarsi da quel paesaggio arido. Videro gli urubù avventarsi su di lui. Ancor prima che l'animale stramazzasse già lo stavano beccando. Anzi gli uccelli si facevano sempre più arditi, si posavano a fianco dei viandanti girando loro intorno, e era necessario scacciarli a colpi di bastone e a sassate perchè riprendessero il volo. L'ombra che proiettavano sul suolo era l'unica in quel deserto di vegetazione rada e stenta, senza animali e senza niente di verde. Videro gli urubù che volavano trascinandosi nel becco brandelli dell'animale, non era neppur morto del tutto. I singhiozzi di Jucundina fecero vibrare gli arbusti.

 

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